Bangkok è complicata come i cavi dell’alta tensione che se ne stanno sospesi ed ingarbugliati sopra le sue strade ed i suoi incroci. Chissà se qualcuno riesce davvero a raccapezzarsi in quella matassa indistinta di fili. Io sicuramente Bangkok non l’ho capita, non so dire se mi è piaciuta ma al contempo non posso dire nemmeno il contrario. Sicuramente non mi ha lasciata indifferente.
Difficile che possa farlo, soprattutto se é il primo luogo, il primo contatto che hai con questo angolo di Asia.
Dall’aeroporto per raggiungere il centro città abbiamo preso i mezzi pubblici, molto semplice ed economico, soprattutto per chi ha scelto un alloggio vicino ad una delle fermate dello Sky Train. Così siamo entrati gradualmente a Bangkok, tra mega cartelloni pubblicitari, casette tutte uguali le une alle altre, per poi passare ai palazzoni del centro città che convivono con le baracche. Abbiamo rimandato il nostro incontro con taxi e tuk tuk ad un prossimo futuro.
Il caldo soffocante della città ci ha avvolti, quel caldo che proviene da sotto, dall’asfalto. Tipo il caldo di luglio ed agosto a Milano, ma elevato all’ennesima potenza.
Bangkok è una giungla d’asfalto, un intrico di strade simili le une alle altre dove auto, tuk tuk e motorini si inseguono in una folle rincorsa, i guidatori fremono di fronte ai semafori rossi come tori pronti a caricare il torero mentre i gas di scarico avvolgono come una nube tutto ciò che li circonda.
Lungo le strade di Bangkok a qualsiasi ora del giorno c’è qualcuno che prepara qualcosa da mangiare e di conseguenza ad ogni ora del giorno c’è sempre qualcuno che mangia.
Spiedini di carne, frutta fresca, intingoli pastellati e fritti, involtini primavera, noodles… Ce n’é per tutti i gusti, per soddisfare ogni languorino. Gli odori dello street food raggiungono anche i piani più alti dei palazzi, si mescolano con quelli della strada generando quell’essenza unica che é il Chanel n.5 della città.
Sembra che il principale passatempo dei thailandesi sia proprio mangiare, in ogni momento del giorno e della notte. I carretti dello street food non sono mai a corto di clienti e ovunque posi lo sguardo trovi sempre qualcuno con una tazza di riso o noodles in mano. Sono giunta alla conclusione che i thailandesi non cucinino mai in casa, e quelli che lo fanno – visto che ci sono – aprono l’uscio e si mettono a vendere ai passanti.
Bangkok è una città che va alla velocità della luce, eppure sembra che alcune parti di essa siano immobili. Entri in un tempio e – se riesci ad esternarti dalla folla di turisti – una voce sconosciuta recita parole e preghiere da un altoparlante trasportandoti in una dimensione parallela fatta di pace e meditazione. Ombre arancioni scivolano tra i cortili, profumo di incenso e fiori variopinti colorano i templi multicolore in cui l’oro prevale.
Ma non è tutto oro quello che luccica, me ne sono resa conto davvero quando ho preso il treno per Ayutthaya, un treno che con la lentezza di un pachiderma a motore mi ha condotta fuori dalla metropoli attraversando una periferia fatta di baracche affastellate, tetti in eternit, abitazioni improvvisate sotto i ponti dove non si sa come manca il tetto ma non la TV. Eppure in quel caos, tra la polvere i miei occhi hanno scorto dignità e ordine, anche se solo nei pochi abiti appesi sulle stampelle in un improvvisato armadio a cielo aperto.
Situazioni forse più estreme che sono meno frequenti in centro città tra le fermate dello Skytrain, gli hotel ed i centri commerciali.
Centri commerciali così numerosi che sembrano stonare nell’idea deviata e rarefatta di Asia che involontariamente mi ero creata nella mia testa prima di partire ma che ad un certo punto possono anche trasformarsi in ancore di salvezza: un rifugio dove cercare un po’ di occidentalità quando il caldo di Bangkok diventa asfissiante ed i banchetti di street food e il caos diventano insostenibili ad un occhio poco avvezzo.
Poi, quando penso di essermi quasi abituata alla città, salgo al 61 esimo piano di un hotel di lusso, mi affaccio sulle luci di Bangkok di notte e mi manca il fiato.
Mi sorprendo, rimango frastornata, senza punti di riferimento, quasi paralizzata di fronte a quel nuovo volto della città: colpita ed affondata dalla sua enormità, dalla sua bellezza inspiegabile, dai suoi contrasti. Un po’ così, con il cuore spezzato tra il sogno di stare lassù tra le stelle e la vita che scorre là sotto.
Faccio questi pensieri assordanti rientrata a casa, una mattina in cui il fuso orario mi ha svegliata troppo presto. Seduta sul bidet guardo ipnotizzata la quarta lavatrice che ho caricato nelle ultime ore. Osservo la centrifuga che va a 800 giri, sospesa tra la sensazione di nausea dovuta a tutto quel girare, forse il jat lag che gioca brutti scherzi e i ricordi che si affastellano nella mia mente…
Bangkok, a quando il prossimo incontro?